Destino e Azione: indagini semiserie sulla pre-destinazione

Dicono sia scritto nelle stelle, ma il più delle volte sembra scritto nelle stalle. Chi vivrà una vita felice, chi vivrà una vita disgraziata. Sorge allora una domanda: esiste un margine di distorsione? Possiamo neutralizzare gli effetti di una falsa partenza? Cosa significa la parola “destinazione”, composta da due apparenti contrari, destino e azione?

“Odissea di femminismo e amori”. Scritture a cerchi concentrici

“Odissea di femminismo e amori” è il titolo che Silvia Neonato, giornalista e presidente uscente della Società Italiana delle Letterate (SIL), ha voluto dare alla sua recensione di “Odissea. Cronache d’incoscienza e di vita estrema”, il mio secondo romanzo.
La cosa fantastica di quando si scrive una storia vera per farla conoscere a chi non la sa è
che dopo, con un po’ di fortuna, sperando, disperando, attendendo, questa storia viene inscritta/trascritta/riscritta in una storia collettiva più ampia grazie ad altre scritture
che l’adottano e continuano a trasmetterla e a conservarla. Non c’è risultato più bello. Come dice Elena Ferrante “Per scrivere bisogna desiderare che qualcosa ti sopravviva”.
Se questo qualcosa è l’esperienza umana e militante di una donna straordinaria come Marina Genovese e di un gruppo di donne durante un ventennio, allora sono riuscita nell’intento.  Ecco due esempi illustri di scrittura a cerchi concentrici. Il primo link è
alla recensione di Silvia Neonato, attivissima colonna portante della SIL, il secondo è
alla recensione di Giovanna Romualdi, giornalista nella redazione de “il foglio del paese delle donne” per vent’anni e tuttora de “il paese delle donne on line”.
Grazie Silvia. Grazie Giovanna. Anche da parte di Marina e della sfamiglia.

http://www.societadelleletterate.it/2015/01/odissea-di-femminismo-e-amori
http://www.womenews.net/%E2%80%9Codissea%E2%80%9D-il-nuovo-romanzo-di-cristina-zanetti/

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Povera bestiola quel Cardellino e povera umanità

Una mia carissima amica, raffinatissima lettrice, mi ha ordinato di leggere Il Cardellino di Donna Tartt, che ha comprato per rilassarsi in spiaggia, una volta raggiunta trasportando l’edizione cartacea giù per la scogliera. Me l’ha ordinato perché imparassi a scrivere un bestseller, cioè imparassi a metterci tutti gli ingredienti necessari per scalare le classifiche.
L’ho fatto, interrompendo il mio programma di letture, e naturalmente la trama mi ha attanagliato come ha attanagliato migliaia di lettrici e di lettori in tutto il mondo. Non voglio fare della facile critica, quando ne sono bersaglio mi amareggia terribilmente. Mi ha solo meravigliato il fatto che nel 2009 Elizabeth Strout vinceva il Pulitzer con Olive Kitteridge (che consiglio nel modo più categorico insieme ai suoi Amy e Isabelle e Resta con me) e che nel 2014 sia stato assegnato a Donna Tartt, già autrice di altri due bestseller. Ho scorso la lista dei Pulitzer dal 1948, anno della fondazione, e sì, forse i criteri per l’assegnazione del premio sono meno omogenei di quanto pensassi, anche se, per esempio, a conferma delle mie illazioni, nel 1988 se lo aggiudica Toni Morrison con Amatissima e nel 1989 Anne Tyler con Lezioni di respiro, due romanzi inarrivabili, fra le cose più belle che siano mai state scritte. Fra gli altri c’è anche gente del calibro di Joyce Carol Oates, Philip Roth, Cormac McCarthy…
Alla fine, aldilà delle riflessioni filosofiche sul caso e sulla circolarità, sulla bellezza, sull’arte e sull’antiquariato, sulle tortuose strade che conducono al bene o al male, compresa l’arrischiata ipotesi per la quale le strade del male potrebbero anche condurre al bene (non è mai tutto bianco o tutto nero), due aspetti del romanzo mi hanno profondamente impressionato e, non scherzo, quasi fisicamente contagiato. Il primo è il quadro del fiammingo Fabritius (1654) che l’autrice approfondisce in modo eccellente nelle ultime pagine. C’è tutta la dignità e la “naturalità” del cardellino, benché sottoposto a (dis)umana tortura, e c’è quella terrificante sottilissima catenella emblema dell’indifferente empietà del genere umano. Dell’empia indifferenza del genere umano. (altro…)

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Complimenti, hai vinto un viaggio a sorpresa!

“Sono una pecorella allo sbando tramortita da orribili disgrazie e continuo a incassare sconfitte e dolori insopportabili. La mia fragilità è disgustosa”.

È fantastico svegliarsi con questa frase in testa, che si materializza nella prima coscienza del risveglio mattutino, e continuare a vedersi così per il resto della settimana, trascinandosi dietro una chiarezza in più: quella di avere sempre saputo, in fondo, che il tuo destino è l’infelicità. Della specie subdola, che si annida all’insaputa degli slanci vitali. A questo punto il cervello riposato e scattante, per coronare il concetto, ti fornisce la connessione veloce con una battuta di John Lennon che avevi letto chissà dove e chissà quando: “Il tempo ferisce tutte le guarigioni”. Quando si dice alzarsi col piede sbagliato… C’è chi sostiene sia un dono naturale. (altro…)

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