A getto continuo: le grandi della letteratura

Serbatoio perenne di saggezza e di visioni, “Le grandi della letteratura” propone e commenta testi più o meno lunghi di celebri autrici, la cui vastità di significato esige di essere perlustrata con perseveranza e spirito d’avventura. Sono, questi, concetti espressi non soltanto in alto stile letterario ma tali da indicare un cammino, o un’esperienza, o un senso, per chi, come me, ne è a caccia e crede nel potere trasformante della parola.

Lo specchio raddoppiatore di Virginia Woolf

Nel 1928 Virginia Woolf teneva due conferenze diventate il manifesto del femminismo mondiale col titolo Una stanza tutta per sé. Non c’è bisogno di commentare per l’ennesima volta queste parole. Bisogna rileggerle e ricordarsele ogni giorno.

“Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata. Senza questa facoltà, la terra probabilmente sarebbe ancora palude e giungla. Tutte le glorie delle nostre guerre non sarebbero esistite. Saremmo ancora a incidere la sagoma del cervo su qualche osso rotto, a barattare selci in cambio
di pelli di pecora o di altri semplici ornamenti gradevoli al nostro gusto non sofisticato.
I superuomini e i figli del destino non sarebbero mai esistiti. Lo Zar e il Kaiser non avrebbero mai portato le loro corone, e neppure le avrebbero perdute. Qualunque sia
il loro uso nelle società civilizzate, questi specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono così enfaticamente sull’inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, non servirebbero più a raddoppiare gli uomini.  Questo spiega in parte il bisogno delle donne che sentono gli uomini. E spiega anche perché essi non tollerano la critica di una donna: questa non può dire se il libro
è brutto, il dipinto debole eccetera, senza suscitare assai più dolore e assai più rabbia di quanto ne potrebbe suscitare un altro uomo con la stessa critica. Giacché se la donna comincia a dire la verità, la figura nello specchio rimpicciolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita. Come potrebbe continuare a giudicare, a civilizzare gli indigeni, a legiferare, a scrivere libri, a indossare il tight e a pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedersi riflesso, a colazione e a pranzo, almeno due volte più grande di quanto realmente sia? (…)
La visione dello specchio è per loro immensamente importante, perché carica la loro vitalità; stimola il loro sistema nervoso. Se gliela togliete, l’uomo può morire, come il cocainomane privato della droga”.

Così, per non morire, gli uomini ammazzano le donne che girano lo specchio
dall’altra parte (ho scritto tempo fa). Mi correggo, lo fanno anche se glielo tieni davanti alla faccia perché si spaventano di quello che vedono.
cristina zanetti

 

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Vorrei averlo scritto io. La vertigine di ricopiare

Volo sulla tastiera trascrivendo parola per parola. Sento che ognuna è perfetta
e insostituibile. Volendo riscrivere la scena s’incapperebbe nelle stesse parole,
non ce ne sono altre. Sono le parole per dirlo. Le dita corrono sui tasti fingendo di
prenderle direttamente dal cervello. È una finzione esaltante, ebbrezza allo stato puro. Fingo di scrivere la sua scrittura. L’atto di digitare parole già cercate e scritte comporta una specie di apprendimento effimero, volatile. Non importa. È bello lo stesso farsi
sballottare dentro la tromba d’aria.

Da Elena Ferrante, L’amica geniale
Lila volle che andassi presto nella sua vecchia casa, che l’aiutassi a lavarsi, a pettinarsi,
a vestirsi. Mandò via la madre, restammo sole. Si sedette sul bordo del letto in mutande
e reggiseno. Accanto aveva l’abito da sposa, che pareva il corpo di una morta: davanti,
sul pavimento a esagoni, c’era la conca di rame ricolma d’acqua fumante.
(…) (altro…)

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Donne che non ci lasciano mai. Lessing – Gordimer

Un anno dopo Doris Lessing, prematuramente scomparsa all’età di 94 anni, a metà luglio scompare, altrettanto prematuramente, Nadine Gordimer a 91. Intendiamoci: si tratta di scomparse apparenti. Entrambe continuano a illuminarci come fari nella notte attraverso una monumentale produzione letteraria che abbraccia un secolo di grandi rivolgimenti storici. Scomparse apparenti e tuttavia premature perché, egoisticamente, vorremmo continuare a leggerle e conoscere il mondo attraverso le loro lenti d’ingrandimento. Nulla ci impedisce di continuare a leggere quello che hanno già scritto, naturalmente, è che vorremmo restare al passo col loro pensiero. Perché non hanno smesso di pensare. Non sono donne che si fermano davanti alla morte. Forse attraverso le neuroscienze sarà possibile dimostrare il nesso fra la loro longevità, la loro prolificità, la loro passione politica. Intanto grazie a tutte e due.

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Mezza ianara, mezza briganta. Licia Giaquinto, la rispondessa

Ha la risposta pronta: quando parla è diretta, quando scrive è attraversata dalle storie.
Il suo modo è uni(vo)co, gravido di certezze, come il ventre da cui scrive. Esse non derivano dalla scienza dei fatti osservabili ma dalla visione sottostante retrostante sovrastante delle forze che li governano e li mantengono in relazioni circolari. Le chiamano, per gusto di catalogazione ed esorcismo razionale, mitologie magico-arcaiche.
Licia Giaquinto le rende credibili e consolatorie, perché tutto ha una spiegazione, tutto e il contrario di tutto. Scrive infatti, con grande naturalezza: “Per non sentirsi una ladra deve ripetersi che è stata la stessa Signora a regalarle il vestito per quando le cose si sarebbero capovolte nel loro contrario”. Come se fosse ovvio. E davvero lo è. Capita di continuo.
Se la si trascina sul terreno del linguaggio filosofico, in particolare su quello della gnoseologia – il discorso sulla conoscenza – e le si chiede del rapporto io-realtà, vi sciorina
i nomi degli austeri signori che nel corso dei secoli si sono arrovellati sul busillis, rivelando conoscenze insospettabili e inopportune per una strega.
Lei, infatti, assomiglia un po’ alle sue ianare, che sentono e vedono oltre le porte (ianua) di comunicazione fra le dimensioni parallele dell’esistenza. Non crede al tempo lineare né alla legge causa-effetto per derivazione diretta, bensì a una convergenza e a un intreccio più complesso e sapiente di concause: “… e così era già scritto che quella mattina la contessa Rosalba dovesse cacciare Filomena con una ingiusta accusa, perché venisse a trovarsi nello stesso luogo e nello stesso istante in cui…”. Oppure: “… troppe cose si erano infilate come i grani di un rosario sullo stesso filo per fare una corona perfetta, quel giorno”.
La sua scrittura selvatica, odorosa di terra, legna e muschio, di volpi serpi lepri conigli cinghiali bacche di alloro fichi grotte di tufo ortiche gramigne (senza virgole come fa lei quando ha fretta di dire tutte le cose che ci sono) ci precipita nell’incantesimo della natura antropomorfa dove il canto del cucù e del tordo e l’ululato del lupo e il vento nel castagneto parlano a chi sa ascoltare, in un dialogo pieno di pathos, che non prevede graduatorie fra esseri viventi, a qualsiasi regno appartengano. Compresi i sassi e le pietre che sembrano inerti e invece custodiscono la memoria della materia pe(n)sante. Di quella corporea mostra gli umori, nel senso di emozioni e secrezioni.
Anche passato presente futuro sono un tutt’uno. “Niente di ciò che è stato si perde. Uomini, donne, fiori, animali, piante: ogni cosa conserva la traccia della propria esistenza anche quando non esiste più. Glielo hanno insegnato sua madre e sua nonna in un tempo remoto sprofondato in un pozzo”.
Ho scelto alcuni brani da “La ianara” e “La briganta e lo sparviero”. Ma bisognerà leggerli per intero, i due romanzi, per comprendere la profonda umanità dell’artista. (altro…)

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L’aria tra le stecche. La scrittura secondo Elena Ferrante

… io volevo essere diversa, volevo scrivere storie di donne dalle molte risorse,
donne di parole invincibili, non un manuale della moglie abbandonata con l’amore
perduto in cima ai pensieri. Ero giovane, avevo pretese. Non mi piaceva la pagina
troppo chiusa, come una persiana tutta abbassata. Mi piaceva la luce, l’aria tra le stecche.
Volevo scrivere storie piene di spifferi, di raggi filtrati dove balla il pulviscolo.
E poi amavo la scrittura di chi ti fa affacciare da ogni rigo per guardare di sotto
e sentire la vertigine della profondità, la nerezza dell’inferno.

Da Elena Ferrante, I giorni dell’abbandono, 2002

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Le donne di A. M. Homes

A.M. Homes è una delle figure più innovative e originali della nuova narrativa americana.
C’è chi la giudica eccessiva, paradossale, ed è vero, non conosce limiti. A parte alcuni romanzi giovanili, la maturità l’ha portata a strafare, e per questo le saremo eternamente riconoscenti. Se si vuole restare nel cortiletto di casa propria è meglio non leggere una sola sillaba di quello che scrive. Ma è proprio nel cortiletto di casa nostra che le cose possono complicarsi, come capita nella realtà dei fatti, e succedono assurdità/mostruosità ingovernabili. A.M. Homes è troppo intelligente per mancare di umorismo ed ecco un assaggio di considerazioni e di scenette fra donne tratte da “Musica per un incendio”
del 1999 (Feltrinelli 2011), un romanzo superbo con un finale insostenible.

La cosiddetta madre di famiglia
Elaine potrebbe diventare cieca e non se ne accorgerebbe nessuno (il marito Paul e i figlioletti Daniel e Sammy). Ha memorizzato il posto di ogni cosa. Potrebbe aggirarsi in casa per anni prima che qualcuno lo noti. A tradirla sarebbe una cosa semplice, tipo il bucato.

La cosiddetta nonna, ovvero la madre della cosiddetta madre di famiglia
“Elaine, io sono fatta così. Ho quasi settant’anni. L’unico modo perché io possa subire una metamorfosi è, Dio non voglia, che mi venga un ictus; in caso contrario, questo è quanto. Vuoi un caffè? Me ne sono portata un po’ da casa. Io me lo macino tutti i giorni”. (altro…)

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