“Oh Christ, I could’nt care less”. Doris Lessing

È il modo di rispondere a chi ti sta informando che hai vinto il Nobel per la letteratura? Oltretutto se è giornalista? “Non me ne può frega’ de meno”. Tipico del suo caratterino, perché la passione, l’irruenza, non le teneva solo per la pagina scritta, le metteva anche nella comunicazione orale. Non era, non è, una che avesse, che ha, dei peli sulla lingua, né temesse danni all’immagine, né da viva né da morta. Se a questo si aggiunge che aveva un modo suo di vedere le cose e di leggere la storia, quella micro e quella macro, si può dire che abbia scansionato tutto il Novecento dall’Africa all’Europa, attraversando apartheid, colonialismo e guerre, sferrando colpi a destra e a sinistra (pensiamo a “La brava terrorista” oppure a “Il sogno più dolce”, o a “Il taccuino d’oro”), senza risparmiare nessuno, impedendo all’ideologia di prevalere sul giudizio critico individuale, anche quando si trattava delle donne, di cui ha narrato le condizioni, le contraddizioni, le aspirazioni (fra i tanti, vedi p.e. Dalla Cornovaglia alle Orcadi. Buon Natale con Doris Lessing e “Due casi esemplari di arte donna” in L’arte ha un sesso?, miei articoli su questo blog). Era uno spirito indipendente, era e rimane una voce straordinariamente libera della letteratura mondiale. Immergersi nei suoi romanzi non è un’esperienza intellettuale, è un’esperienza fisica, non c’è nulla che Lessing tralasci di farti vivere. Dal parto, alla maternità (anche quella estrema de “Il quinto figlio”), alla vecchiaia, alla morte, tutto è carnale e violento, fino all’ultimo istante di vita.
È difficile stralciare passaggi brevi da una marea montante come Lessing, ma proviamoci da “Il diario di Jane Somers”.
Come può, una donna di oltre novant’anni, trovare ingiusto il fatto di dover morire? (…)
“Una tragedia”, ha detto a voce alta e chiara (…) ora che eravamo così felici, e tu venivi tutte le sere, e io ti raccontavo le mie storie. È una tragedia che sia successa questa cosa…” (…) Ieri ha detto di nuovo, in un mormorio leggero, precipitoso, “Una tragedia, una tragedia, una tragedia”, e io ho sentito me stessa dire, senza quel tono ipergentile, accattivante, preoccupato che fa parte, per così dire, dello stile dell’ospedale, “Maudie, hai novantadue anni”. Ha girato lentamente la testa, e ho visto i suoi occhi azzurri mandare lampi. Era furiosa. (…)  Quello che sto pensando è, chi, o che cosa, in Maudie, crede di essere immortale, di esser stata ingiustamente condannata? Mi sembra che ci siamo parecchie Maudie dentro quella minuscola, giallastra gabbia di ossa, che ciascuna di esse stia morendo a velocità diversa, e che una non abbia assolutamente intenzione di morire! (…)  La struttura mentale cambia, con l’avvicinarsi della morte? (…) Forse, come animali, siamo programmati a non prendere atto della realtà della morte se non vagamente. Perché, diversamente, non potremmo più vivere. (…) E allora io, Jane Somers, me ne sto qui accanto a questa donna moribonda, a lottare per costringere la mia mente a cambiare, ad abbassare qualche difesa, ad aprirsi, a esporsi, in modo da capire davvero che dovrà morire, e io con lei. Ma la Natura non me lo permette. (…)
Il fatto è che io non riesco a convincermi che  questo furioso fagotto di energia che è Maudie debba scomparire del tutto. È più di quanto io riesca a credere. Dio mio,
Maudie è così esigente, sana o malata; professa con tanta energia la propria esistenza, la propria vita, la natura delle cose che ha vissuto; si rapporta alla realtà in modo così violento che non riesco assolutamente a credere che possa dissolversi (…)
Quello che penso ora è, è possibile che a stabilire il tempo, il ritmo della morte non sia il corpo, non sia quel tumore nello stomaco che aumenta di volume a ogni respiro, ma il bisogno della Maudie che non vuole morire di adattarsi – a che cosa? Chi può sapere quali enormi processi stiano avendo luogo là, dietro la testa ciondolante di Maudie, dietro quegli occhi cupi, accigliati. Io credo che Maudie morirà quando questi processi saranno giunti alla fine.
(…)
Maudie è morta ieri notte.

Scritto in A getto continuo: le grandi della letteratura, L’arte ribelle: dal cinema, alla pittura, all’architettura… | Tag , , |

Una risposta a “Oh Christ, I could’nt care less”. Doris Lessing

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *