“La Lista di Flo”. If you are neutral in situations of injustice you have chosen the side of the oppressor

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Flo, un’ex insegnante di Lettere dall’energia inesuaribile, sente crescere l’indignazione per la dilagante indifferenza umana e si chiede: il mondo è sempre stato così o è peggiorato? Quello che vede ogni giorno attorno a sé è allarmante, non c’è limite all’escalation delle cattive azioni, piccole e grandi. È d’accordo con Einstein: quando si tratta della verità e della giustizia non c’è distinzione fra i grandi problemi e i piccoli perché i principi che regolano l’agire sono indivisibili. Lei comincerà dai piccoli, poi si vedrà. Obiettivo: fare dell’umanità un posto migliore. Subito, senza perdere altro tempo. Non che prima se ne stesse lì a guardare, ma ora può dedicarsi anima e corpo alla bonifica del genere disumano. Nonostante l’urgenza, questa volta non può agire d’impulso, deve incanalare la rabbia. Osserva, annota, analizza e… progetta. La rieducazione, per essere efficace e duratura, deve essere servita fredda. E deve essere personalizzata, studiata caso per caso: chi non raccoglie gli escrementi del cane, chi non rispetta il turno in fila, chi guida come un pazzo mettendo a repentaglio la vita degli altri, chi usa gli spazi verdi come discariche personali, chi bulleggia, chi maltratta, chi molesta, l’elenco aumenta di giorno in giorno. La ricetta di Flo: ragione, fantasia e sprezzo del pericolo. Il piano di rieducazione collettiva richiede infatti una buona dose di coraggio, rivelandosi fin da subito un’avventura non priva di rischi.
Dapprima solitaria somministratrice di lezioni esemplari, è presto affiancata da una squadra fedele e affiatata. C’è Vanda l’astronoma musicista, la postina Ornella che parla in dialetto – sfondo della riabilitazione generale è la bellissima Bologna – la rock band delle Still Alive, Felice il teologo, Altero lo chef, Sebastiano il fotografo e una ditta male assortita di traslocatori. Ci sono anche Giulio Cesare e Cleopatra che non potendo fornire un aiuto concreto in quanto appartenenti a un’altra specie, seguono gli eventi in diretta telepatica e a modo loro sono onnipresenti. (altro…)

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W. Women in Italian Design

All’Women in Italian Design – 31 marzo 2016 /19 febbraio 2017 – è esposta, fra gli altri stupefacenti oggetti d’arte ideati da architette e artiste stellari, la lampada Genesy di Zaha Hadid, scomparsa proprio il giorno dell’inaugurazione. Ma le tracce che la Regina delle Curve ha lasciato sul pianeta sono numerose. In Italia il Maxxi di Roma e il Messner Mountain Museum a Plan De Corones, mentre altri cantieri sono all’opera.

La nona edizione del Triennale Design Museum affronta il design italiano alla luce del genere, tracciando una nuova storia del design italiano creato da donne, ricostruendo figure, teorie, attitudini progettuali che sono state seminate nel Novecento e che si sono affermate ed evolute nel XXI secolo. L’idea che il genere non sia più solo un dato biologico ma una costruzione culturale, apre importanti prospettive. Per affrontare in modo oggettivo le questioni del gender legate al design, scrive chiaramente la curatrice della mostra Silvana Annichiarico, è necessario affrontare prima di tutto la grande rimozione operata dal Novecento nei confronti del genere femminile. Tutta la modernità novecentesca ha messo ai margini la progettualità delle donne, pressoché ignorata da storici e teorici del design. Ma il XXI secolo è caratterizzato sempre di più da una forza rinnovata di tale progettualità.
Si legge in un tabellone (bellissimi tutti, lucidi e chiari – mai si erano letti testi così gender oriented nei templi dell’arte) alla fine del percorso: “I numeri dicono che lo scenario è in piena mutazione e che la presenza delle donne nelle scuole di design, nelle facoltà di architettura e negli studi dove il design diventa professione di massa è ormai preponderante. Nello stesso tempo le neuroscienze ci dicono che uomini e donne reagiscono in modo diverso alla percezione di immagini e oggetti. Due ricerche effettuate rispettivamente dal Centro per lo Studio della Moda e della Produzione culturale dell’Università Cattolica di Milano (numeri e statistiche) e dal Centro di Ricerche di Neuroscienze dell’Università IULM (percezione estetica) offrono qualche ulteriore spunto per uscire dal TDM con meno certezze e qualche domanda in più, cui cercare di dare una risposta”. Ciononostante qualche fesso su internet conclude la propria raffazzonata recensione con la domanda: e se si scoprisse che la creatività è gender free? Tu sei la prova vivente del contrario.

 

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Artista totale. David Bowie Is

Grazie David, per la musica intramontabile
e per avere infranto confini di “ogni genere”

Estratti dalla recensione del documentario David Bowie Is di Hamish Hamilton, 95′, Gran Bretagna 2014, Raffaella Giancristofaro per My Movie.
23 marzo 2013. Apre al Victoria & Albert Museum di Londra David Bowie Is Happening, la più grande mostra mai realizzata sull’artista britannico, composta da materiali provenienti dal suo archivio personale: oltre 300 oggetti tra costumi, foto, testi autografi, bozzetti, artwork, distribuiti lungo circa 50 anni di carriera. Una mostra che non può che essere multidisciplinare, tra moda, musica, cinema, teatro, grafica. Il successo dell’esposizione è tale da spingere gli ideatori a filmare l’esperienza, a vantaggio di chi non potrà visitarla.
Sono i due co-curatori, Victoria Broackes e Geoffrey Marsh, e la loro assistente Kathryn Johnson, a introdurci nella galassia Bowie, in una formula che sta tra il documentario e la ripresa live di un evento, con tanto di competenti guest star, a ribadire il ruolo cruciale di Bowie come musicista, icona di stile, sperimentatore di linguaggi interdisciplinari, alfiere della liberazione sessuale e incarnazione vivente di identità multiple. (altro…)

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Io & lei. Niente paura! Siamo uguali

Alle autorevoli recensioni che circolano in questi giorni a proposito del film di Maria Sole Tognazzi, desidero aggiungere un’osservazione centrale. Le due conviventi, se si esclude la cerchia parentale e lavorativa, sembrano vivere isolate dal mondo, fatta eccezione per una serata al cinema in compagnia di due amiche.  Anche in Italia, da anni, esistono gruppi, associazioni, movimenti che hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema delle diversità e dei diritti civili, tanto per volare basso. Esistono poi altre posizioni più radicali. Senza particolari stravolgimenti, il film avrebbe potuto accennare al quadro sociale, mostrando per esempio uno stralcio di telegiornale sugli accesi dibattiti in corso. Pochi secondi per raccontare cosa si muove là fuori. Per la coppia e per il pubblico che assiste al film, infatti, il divano e la tv fungono da simboli ricorrenti di condivisibile e rassicurante quotidianità.
“Va bene sdoganare un tema così decisivo per il pubblico più ampio possibile, ma la commedia vince e appassiona quando forza la mano. Vive la différence insomma”, scrive Fabio Ferzetti sul Messaggero. Qui sotto riporto la sua breve, efficace recensione, che sottoscrivo in pieno.
A parte questo, Buy credibilissima nell’interpretare se stessa e Ferilli pure. (altro…)

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Joana Vasconcelos: Giardino dell’Eden

La Biennale di Venezia. 56. Esposizione Internazionale d’Arte
Padiglione Swatch – Giardini
https://www.youtube.com/watch?v=z_3DCmHayLA

Giardino dell'Eden. Joana Vasconcelos (copyright cristina zanetti)

Giardino dell’Eden. Joana Vasconcelos (copyright cristina zanetti)

Installazione spettacolare dell’artista portoghese Joana Vasconcelos.
Buio totale. A terra un labirinto fluorescente che obbliga ad avanzare-retrocedere con reverente meraviglia ai primordi del mondo. Fiori brillano d’illuminazione sotterranea, canto di grilli e ronzio d’insetti musicano il Giardino dell’Eden. Era così la Terra prima della comparsa dell’umanità? Non si vorrebbe uscire, l’incanto è struggente, il richiamo irresistibile, risuona profondo nel nostro corpo biologico.
La lezione di Joana: tornare alla bellezza, salvare il Pianeta.

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Diamante nero. Ma il titolo originale è Bande des filles

Anche il titolo inglese “Girlhood”, adolescenza femminile, indebolisce alquanto il titolo originale, mentre Diamante Nero, escogitato dalla distribuzione italiana, è una vera furbata. Scopo: sviare il pubblico dall’unico e plateale (per restare in metafora cinematografica) significato del film, che prima di approdare nelle sale italiane ha già fatto il giro del mondo e non è certo sfuggito agli LGBTQ Film Festival. Per chi non conoscesse la sigla, essa indica quella variopinta accozzaglia che raduna lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, e che può essere allungata e/o allargata – tanto è elastica – con altre iniziali qualora nuove forme di vita volessero manifestarsi e accodarsi. Con il diamante, ci riportano nell’atmosfera della gioielleria, o della bigiotteria, se è falso. Del monile di lusso.
“Banda di ragazze” suona male. Sa di piccole teppiste. Sa di ragazzotte strafottenti. (altro…)

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