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Flannery O’Connor. La signorina Willerton si sedette alla macchina per scrivere…
… e fece un respiro profondo. Allora! Cosa aveva deciso? Ah, sì. Fornai. No, i fornai non andavano bene. Non c’erano tensioni sociali connesse ai fornai. La signorina Willerton restò seduta con gli occhi sulla macchina per scrivere senza vederla. ASDFG: il suo sguardo vagò sui tasti. Ummm. Insegnanti?, si chiese la signorina Willerton. No. Santo cielo, no.
C’è un racconto di Flannery O’Connor intitolato “Il raccolto” che prende di mira un’illusione abbastanza diffusa. Lo consiglio caldamente a tutte/tutti coloro che si ritengono grandi scrittrici e scrittori. Naturalmente ci ho fatto i conti per prima, ridendo innanzitutto di me. Lo trovate nell’edizione italiana dei tascabili Bompiani “Tutti i racconti”. Ecco un passaggio dei più esilaranti.
Ecco! Ma certo! Ora sapeva! Le sue dita frullarono eccitate sopra i tasti della macchina, senza toccarli. Poi, all’improvviso, cominciò a scrivere a gran velocità.
“Lot Motun” scrisse la macchina, “chiamò il suo cane”. La parola cane fu seguita da una brusca pausa. La signorina Willerton era bravissima con la frase d’attacco. “Le frasi d’attacco”, diceva sempre, “ le venivano… di botto!”. “Di botto, ecco!” diceva, e faceva schioccare le dita. “Di botto!”. E su di esse costruiva il racconto. “Lot Motun chiamò il suo cane”, le era venuta automaticamente, e rileggendola la signorina Willerton decise che non solo Lot Motun era un buon nome per un mezzadro, ma anche chiamare il cane era proprio la cosa giusta da fare…
Non vi dico come va a finire, il travaglio si svolge in sole dieci paginette.