Diamante nero. Ma il titolo originale è Bande des filles

Anche il titolo inglese “Girlhood”, adolescenza femminile, indebolisce alquanto il titolo originale, mentre Diamante Nero, escogitato dalla distribuzione italiana, è una vera furbata. Scopo: sviare il pubblico dall’unico e plateale (per restare in metafora cinematografica) significato del film, che prima di approdare nelle sale italiane ha già fatto il giro del mondo e non è certo sfuggito agli LGBTQ Film Festival. Per chi non conoscesse la sigla, essa indica quella variopinta accozzaglia che raduna lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, e che può essere allungata e/o allargata – tanto è elastica – con altre iniziali qualora nuove forme di vita volessero manifestarsi e accodarsi. Con il diamante, ci riportano nell’atmosfera della gioielleria, o della bigiotteria, se è falso. Del monile di lusso.
“Banda di ragazze” suona male. Sa di piccole teppiste. Sa di ragazzotte strafottenti.
Bande de filles, il terzo film di Céline Sciamma, trova il modo di trascinare il pubblico in un’avventura al tempo stesso minoritaria e universale. «Chaque film est une machine à changer d’identité», dice la regista in un’intervista «Le féminin est subversif, c’est une contre-culture, un contre-pouvoir et il est menaçant de ce point de vue-là.»
Il femminile è sovversivo, è una contro-cultura, un contro-potere, ed è pericoloso da questo punto di vista. Il mondo di Céline Sciamma è sempre popolato di bambine (Tomboy) e di giovani donne che costruiscono la loro identità, in rivolta contro
i molteplici divieti che la società e la cultura nella quale vivono vorrebbero imporgli:
dal genere alla classe sociale, passando attraverso le origini.
E se mi fossi sbagliata? Se fossi partita prevenuta? Magari il titolo italiano vuole proprio dire che la forza sorprendente delle donne che si mettono insieme e che trovano l’una nell’altra la capacità di liberarsi e di fare quello che vogliono è come una pietra preziosa, come un diamante? Meglio ancora se è nero?
Sto scherzando.

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