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Vorrei averlo scritto io. La vertigine di ricopiare

Volo sulla tastiera trascrivendo parola per parola. Sento che ognuna è perfetta
e insostituibile. Volendo riscrivere la scena s’incapperebbe nelle stesse parole,
non ce ne sono altre. Sono le parole per dirlo. Le dita corrono sui tasti fingendo di
prenderle direttamente dal cervello. È una finzione esaltante, ebbrezza allo stato puro. Fingo di scrivere la sua scrittura. L’atto di digitare parole già cercate e scritte comporta una specie di apprendimento effimero, volatile. Non importa. È bello lo stesso farsi
sballottare dentro la tromba d’aria.

Da Elena Ferrante, L’amica geniale
Lila volle che andassi presto nella sua vecchia casa, che l’aiutassi a lavarsi, a pettinarsi,
a vestirsi. Mandò via la madre, restammo sole. Si sedette sul bordo del letto in mutande
e reggiseno. Accanto aveva l’abito da sposa, che pareva il corpo di una morta: davanti,
sul pavimento a esagoni, c’era la conca di rame ricolma d’acqua fumante.
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L’aria tra le stecche. La scrittura secondo Elena Ferrante

… io volevo essere diversa, volevo scrivere storie di donne dalle molte risorse,
donne di parole invincibili, non un manuale della moglie abbandonata con l’amore
perduto in cima ai pensieri. Ero giovane, avevo pretese. Non mi piaceva la pagina
troppo chiusa, come una persiana tutta abbassata. Mi piaceva la luce, l’aria tra le stecche.
Volevo scrivere storie piene di spifferi, di raggi filtrati dove balla il pulviscolo.
E poi amavo la scrittura di chi ti fa affacciare da ogni rigo per guardare di sotto
e sentire la vertigine della profondità, la nerezza dell’inferno.

Da Elena Ferrante, I giorni dell’abbandono, 2002

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