Accendi un diavolo in me. L’impostura

Impostura, ovvero “postura” im-proponibile? Magari.  Gli impostori e le impostore, invece, si propongono eccome, in tutte le salse, e hanno una gran bella faccia tosta. Bisognerebbe spappolargliela con una mazza da baseball, non soltanto perché sono schifosi ma perché sono dannosi e riescono a conquistare credibilità in ambienti dove regnano superficialità, disimpegno, ignoranza.

Certo, deve essere un mestiere infame, che richiede una concentrazione costante, non puoi mai abbassare la guardia, concederti un attimo di distrazione, altrimenti il castello di carte crolla rovinosamente e in un batter d’occhio il tuo corpo vermiforme si ritrova a contorcersi allo scoperto. Che gusto c’è a vivere con la paura di essere scoperti da un momento all’altro? Qualcosa deve essere andato storto nell’infanzia o giù di là, e quell’inferiorità residua che ti trascini dietro è talmente opprimente che devi compensarla, costi quel che costi, in ogni modo possibile e immaginabile, lecito e non. Incapaci di riconoscere i propri limiti – condizione indispensabile a chiunque per avviare un processo di crescita – l’impostore e l’impostora al contrario tendono a occultarli, ricorrendo all’inganno e al subappalto e spacciando per proprio l’operato altrui nell’efferata scalata al successo che è lo scopo della loro ormai snaturata e grottesca vita.

L’impostura protratta nel tempo, quella che diventa uno stile di vita ipocrita e meschino, è un disturbo del comportamento, e se da un lato bisogna compatirla dall’altro bisognerebbe organizzarsi, individuarla e smascherarla. Soprattutto quando, spudoratamente, guadagna posizioni e seguito, millantando capacità e professionalità in uno sfavillio di luci. Per riuscirci l’impostore e l’impostora mettono in campo le loro armi predilette:  l’adulazione e la seduzione. Ecco perché riescono a farla franca, per un po’: perché sono molte le persone che si lasciano sedurre dall’adulazione, le stesse delle quali amano circondarsi e alle quali elargiscono favori. Qual è dunque lo scopo di mostrarsi per quello che non sono? Costruirsi un’immagine migliore di quella che hanno in dotazione dalla nascita e alla fine crederci davvero. L’avviluppo diventa poi così inestricabile che sia l’impostore sia le sue vittime (coloro che si fanno abbindolare) diventano complici alla pari nell’inganno.

Avete mai incrociato questa specie parassita che al momento opportuno vi frega un progetto, tanto per fare un esempio, facendo proprie le idee scaturite dalla vostra intuizione e le relazioni  sociali frutto della vostra perseveranza? Questa specie che, incapace di pensiero e moto proprio, ricalca le vostre orme con meticolosa pedanteria, utilizzando perfino gli stessi luoghi e le stesse strutture? Vi auguro di non incontrare mai gente del genere, è estremamente seccante.

Ma accantoniamo lo sdegno per una frazione di secondo e rivolgiamoci seraficamente all’etimo. La parola impostura deriva dal latino impònere: “porre sopra”. Ecco: l’impostore e l’impostora per meglio spacciare le loro menzogne le ricoprono di apparenze. Conosciuti fin dall’antichità, sono longevi ma non invulnerabili. Blatte al sole, prima o poi uno scarpone li schiatterà, per caso, senza volere. Non aspettatevi che questo pregevole epilogo sia il frutto dell’indignazione collettiva: le blatte campano grazie alla nostra indifferenza, alla nostro bisogno di tranquillità e anche alla nostra vigliaccheria. Se facessimo leva su un autentico disprezzo troveremmo il coraggio di additarle una a una, le blatte, piuttosto che esecrare genericamente una categoria. Al fair play dovremmo preferire un bell’attacco frontale, ad personam, come si dice di questi tempi. Diamogli un nome, non qui sul Blog, fuori per la strada.

Scritto in Il mostro che è in noi: ritratti interiori |

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