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I libri. Wormhole di carta

Il libro è un mito. Se è di carta è anche un passaggio spaziotemporale, una galleria gravitazionale, ovvero una scorciatoia da un punto all’altro dell’universo. E mentre l’wormhole di Einstein-Rose è un’ipotesi fisica ancora da dimostrare, un libro è un wormhole reale. I libri permettono infiniti salti dimensionali. Basta aprirli e farsi inghiottire in un punto o nell’altro dello spaziotempo. Funziona con i libri di carta.
I file ebook non ce la fanno, mancano di massa e di energia.
Rilegato o in brossura, tascabile o di grande formato, con la copertina ruvida o liscia,
in quadricromia o in bianco e nero come i libri militanti di una volta, con un peso e uno spessore, da maneggiare, perfino da annusare se è antico, io lo amo, il libro di carta.
È considerata una posizione antidiluviana, nostalgica, ma pensiamo ad esempio al mondo (e al fiorente mercato) del libro d’antiquariato. C’è gente disposta a tutto pur di accaparrarsi un’edizione speciale, a tiratura limitata, esaurita o pressoché introvabile. Ma non c’è bisogno di risalire alle tavole illustrate della Diderot D’Alembert, ora si collezionano Topolini, Diabolik, Linus, anch’essi hanno contribuito, piacevolmente, ad alimentare l’immaginario collettivo.
Non fatevi fuorviare dagli ebook dei miei romanzi che si vedono in alto a destra. Li ho dovuti realizzare per restare al passo. Sono un’irriducibile sostenitrice dell’impaginazione classica, (altro…)

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Mezza ianara, mezza briganta. Licia Giaquinto, la rispondessa

Ha la risposta pronta: quando parla è diretta, quando scrive è attraversata dalle storie.
Il suo modo è uni(vo)co, gravido di certezze, come il ventre da cui scrive. Esse non derivano dalla scienza dei fatti osservabili ma dalla visione sottostante retrostante sovrastante delle forze che li governano e li mantengono in relazioni circolari. Le chiamano, per gusto di catalogazione ed esorcismo razionale, mitologie magico-arcaiche.
Licia Giaquinto le rende credibili e consolatorie, perché tutto ha una spiegazione, tutto e il contrario di tutto. Scrive infatti, con grande naturalezza: “Per non sentirsi una ladra deve ripetersi che è stata la stessa Signora a regalarle il vestito per quando le cose si sarebbero capovolte nel loro contrario”. Come se fosse ovvio. E davvero lo è. Capita di continuo.
Se la si trascina sul terreno del linguaggio filosofico, in particolare su quello della gnoseologia – il discorso sulla conoscenza – e le si chiede del rapporto io-realtà, vi sciorina
i nomi degli austeri signori che nel corso dei secoli si sono arrovellati sul busillis, rivelando conoscenze insospettabili e inopportune per una strega.
Lei, infatti, assomiglia un po’ alle sue ianare, che sentono e vedono oltre le porte (ianua) di comunicazione fra le dimensioni parallele dell’esistenza. Non crede al tempo lineare né alla legge causa-effetto per derivazione diretta, bensì a una convergenza e a un intreccio più complesso e sapiente di concause: “… e così era già scritto che quella mattina la contessa Rosalba dovesse cacciare Filomena con una ingiusta accusa, perché venisse a trovarsi nello stesso luogo e nello stesso istante in cui…”. Oppure: “… troppe cose si erano infilate come i grani di un rosario sullo stesso filo per fare una corona perfetta, quel giorno”.
La sua scrittura selvatica, odorosa di terra, legna e muschio, di volpi serpi lepri conigli cinghiali bacche di alloro fichi grotte di tufo ortiche gramigne (senza virgole come fa lei quando ha fretta di dire tutte le cose che ci sono) ci precipita nell’incantesimo della natura antropomorfa dove il canto del cucù e del tordo e l’ululato del lupo e il vento nel castagneto parlano a chi sa ascoltare, in un dialogo pieno di pathos, che non prevede graduatorie fra esseri viventi, a qualsiasi regno appartengano. Compresi i sassi e le pietre che sembrano inerti e invece custodiscono la memoria della materia pe(n)sante. Di quella corporea mostra gli umori, nel senso di emozioni e secrezioni.
Anche passato presente futuro sono un tutt’uno. “Niente di ciò che è stato si perde. Uomini, donne, fiori, animali, piante: ogni cosa conserva la traccia della propria esistenza anche quando non esiste più. Glielo hanno insegnato sua madre e sua nonna in un tempo remoto sprofondato in un pozzo”.
Ho scelto alcuni brani da “La ianara” e “La briganta e lo sparviero”. Ma bisognerà leggerli per intero, i due romanzi, per comprendere la profonda umanità dell’artista. (altro…)

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“Oh Christ, I could’nt care less”. Doris Lessing

È il modo di rispondere a chi ti sta informando che hai vinto il Nobel per la letteratura? Oltretutto se è giornalista? “Non me ne può frega’ de meno”. Tipico del suo caratterino, perché la passione, l’irruenza, non le teneva solo per la pagina scritta, le metteva anche nella comunicazione orale. Non era, non è, una che avesse, che ha, dei peli sulla lingua, né temesse danni all’immagine, né da viva né da morta. (altro…)

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Alice Munro Premio Nobel per la Letteratura 2013… ovvero “quando ti balena in testa l’idea che possa succedere”

Il 16 luglio del 2011 pubblicavo su questo blog un articolo intitolato “Alice Munro. Il peso solenne della banalità”, nel quale analizzavo la vastità della frase e dei suoi significati. Potrebbe forse interessare rileggerlo. In occasione del suo meritatissimo Nobel, essendo una delle più grandi scrittrici viventi, voglio proporre la lettura di un brano tratto dalla raccolta di racconti “Il percorso dell’amore” (una delle undici edite in lingua italiana, Einaudi sta pubblicando l’opera omnia). Un esempio spaventoso di implacabile lucidità, grandiosità di comprensione e irriducibile umorismo. Riconfermo la definizione che mi divertii a coniare per lei, quella di “bisturi canadese”. Leggiamo.

Negli anni a venire avrebbe imparato a riconoscere i segni premonitori dell’inizio come della fine di una relazione amorosa. Non l’avrebbe più stupita tanto constatare come possa squarciarsi la pellicola protettiva che ricopre ogni situazione. Ma abbastanza
da poter dire un giorno alla figlia Denise ormai grande, mentre parlavano di queste cose bevendo un bicchiere di vino:
Secondo me, il momento migliore è sempre l’inizio. L’inizio e basta. È l’unica parte autentica. Anzi, forse perfino l’attimo prima dell’inizio. Forse quando ti balena in testa l’idea che possa succedere. Forse è quella la parte migliore.

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Jane Austen: le capacità intellettuali delle donne

La conversazione, tratta da L’Abbazia di Northanger  (pubblicato postumo nel 1818),
si svolge fra Henry Tilney, sua sorella Eleanor Tilney,  e l’amica Catherine Morland, l’eroina di modeste origini che, dopo molte peripezie, sovvertirà, per quanto possibile,
un finale scontato. Vediamo con quali divertentissime acrobazie Jane Austen sferra colpi
a entrambi i sessi, intrappolati nei rigidi schemi dell’epoca. Benché descriva e denunci l’asfittico universo riservato alle donne, Austen non si sogna di risparmiarle quando si rendono ridicole e grette ben oltre le regole loro imposte.

(Henry Tilney rivolto a Catherine Morland) “… Perdoni la sua stupidità. Le paure di una sorella si sono aggiunte alle debolezze della donna, ma in genere non è così sciocca”. Catherine era molto seria.
“Adesso che hai fatto in modo che ci capissimo fra di noi, Henry”, disse la signorina Tilney, “devi porre lo stesso impegno a far sì che la signorina Morland capisca te… altrimenti penserà che tu sia intollerabilmente sgarbato con tua sorella e che la tua opinione delle donne in generale sia quella di un uomo assai rozzo”.
(…)
“E cosa debbo fare?”.
“… Dille che hai un’opinione assai alta delle capacità intellettuali delle donne”.
“Signorina Morland, ho un’opinione assai alta delle capacità intellettuali di tutte le donne del mondo… specialmente di quelle… dovunque esse siano… con le quali mi trovo”.
“Questo non è sufficiente. Sii più serio”.
“Signorina Morland, nessuno può avere un’opinione più alta delle capacità intellettuali delle donne di quella che ho io. Secondo me la natura ha dato loro troppa intelligenza, tanto che esse non trovano mai necessario usarne più della metà”.

Ovviamente non è Henry Tilney che parla, ma Jane Austen in persona.
Possiamo darle torto, oggi come allora?

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